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La metamorfosi di Archimede

di Giuseppe Caravita

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Grandi specchi parabolici lineari in lunghe file, fissi sul sole, che ne concentrano i raggi su un tubo sottovuoto super-nero entro cui fluiscono sali di ammonio fusi a oltre 500 gradi. Un circuito di calore che fa capo a un grande serbatoio termico, che a sua volta alimenta un sistema di generazione. E l'elettricità infine, aziona le pompe a osmosi inversa di un dissalatore che 24 ore su 24 rifornisce città e campagne mediorientali della preziosa risorsa idrica.
Questa è la prospettiva, al massimo entro tre-cinque anni, della seconda metamorfosi di Archimede in versione industriale. Il sistema solare termodinamico sviluppato all'Enea, fin dal 2000 sotto l'impulso del Nobel Carlo Rubbia, e che oggi diviene terreno di investimenti produttivi, su scala nazionale e internazionale. Protagonista il Consorzio Solare XXI, raggruppamento di imprese appena costituito che comprende Techint, Archimede Solar Energy, Ronda e Duplomatic. Un club di grandi e piccoli: Techint, gruppo multinazionale di impiantistica da 20 miliardi di euro annui assieme alla consociata della perugina Angelantoni specializzata nel cuore di Archimede (il tubo in vetro sottovuoto Cermet con anima a massimo assorbimento di calore), alla Ronda, produttrice di innovativi specchi parabolici polimerici con sottile rivestimento in vetro a specchio, alla Duplomatic, leader negli azionamenti oleodinamici di precisione.
Questo club, così, si affianca all'Enel, che già un anno fa decise di procedere a una prima centrale Archimede a Priolo, combinata al suo preesistente impianto a gas.
«Solare XXI nasce indipendente dal progetto di Priolo – spiega Enrico Bonatti, amministratore delegato della Techint –: l'obiettivo del consorzio, entro quest'anno, è quello di realizzare un nostro primo impianto pilota basato su tecnologia Archimede, dimostrarne l'efficienza e l'affidabilità, testarne tutti i componenti e quindi presentarci con tutte le carte in regola sulla scena industriale nazionale e internazionale».
Un aiuto decisivo, all'investimento, è certamente venuto dal decreto dello scorso 30 aprile, che istituisce anche per il solare termodinamico un conto energia, per la cessione alla rete della sua elettricità, con tariffa a 22-28 centesimi per chilowattora per 25 anni, in pratica lo stesso incentivo accordato in Spagna.
«Ma non è solo questo. Certo, l'allineamento dell'Italia alle politiche europee di incentivazione alle rinnovabili sta generando un forte interesse, anche nazionale, per questo tipo di impianti. Ma è Archimede in sé che ci interessa. E su una scala più ampia».
I conti sono presto fatti. E puntano in direzione del Medioriente, dove la crisi idrica è persino più acuta, in molti Paesi, di quella energetica. E dove, da tempo, sono attive diplomazie e soggetti industriali europei, in particolare tedeschi e spagnoli. Secondo studi del ministero dell'Ambiente di Berlino il solare termodinamico tradizionale (con il circuito in olio sintetico, a 350 gradi) è già competitivo, per la dissalazione su vasta scala, con il petrolio oltre 80 dollari. «Ma Archimede, integralmente concepito per far scaldare sali fusi fino a 550 gradi offre, sulla tecnologia a olio, vantaggi di efficienza e sicurezza molto consistenti – spiega Bonatti – su cui noi faremo leva».
Alla Techint, peraltro, hanno una esperienza diretta in materia. «Per conto di un istituto di ricerca del Governo libico abbiamo già progettato un impianto solare termodinamico a specchi parabolici e a olio sintetico, abbinato a un sistema di dissalazione – dice Enrico Savoldi, responsabile dello sviluppo rinnovabili alla Techint –. È stato un primo esercizio, per noi, e ora ne stiamo trattando la fase costruttiva».
Il progetto, per forza di cose, ha dovuto basarsi su una tecnologia provata. «Non esiste ancora un impianto termodinamico tutto a sali fusi di tipo industriale da esibire ai potenziali clienti – spiega Bonatti – ed è questo il motivo per cui ci pagheremo di tasca nostra il pilota, proprio per dimostrarne, a tempi brevi, la validità».
Cruciale, nel solare termodinamico, l'immagazzinamento del calore, perché il sistema possa operare 24 ore su 24 e anche con diversi giorni di tempo coperto. Qui valgono due approcci. Il primo punta su impianti ibridi (cicli combinati tra centrali fossili e solari), come quelli recentemente avviati dagli spagnoli di Abengoa presso centrali a gas algerine. Il secondo approccio punta invece su grandi silos di sali fusi, alimentati dal calore dei tubi solari a olio. Un punto di scambio però molto costoso e delicato (olio a 350 gradi in serpentine immerse in sali corrosivi) che Archimede elimina del tutto, dato che opera per intero, tubi e silos di calore, su un solo circuito di sali in costante movimento. Che poi possono sfruttare al meglio il sole africano, fino a raggiungere temperature impossibili con gli olii sintetici.
«Insieme all'impianto pilota siamo già impegnati in progetti di ricerca sulla dissalazione avanzata – aggiunge Savoldi – uno con l'Enea e il Crs4 di Cagliari. E un progetto internazionale europeo con tredici partner, molti dei quali della sponda sud del Mediterraneo». «Per loro l'energia elettrica è una commodity, ma l'acqua dolce è invece un bene di alto valore. E qui le grandi rinnovabili – conclude Bonatti – giocheranno un ruolo vitale».

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