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Idrogeno, l'energia del futuro
di Gherardo Gherardini  

Il settore energetico sta attraversando, in tutto il mondo, un delicatissimo periodo di transizione. Le riserve di combustibile fossile diminuiscono gradualmente ed il loro impiego è reso sempre più difficile da un duplice ordine di questioni: ambientali ed economiche.
Quanto alle prime, le emissioni dei residui di combustione nell’atmosfera e la loro accidentale fuoriuscita nelle acque di mari, fiumi o laghi, stanno provocando ingenti danni al sistema ecologico planetario. L’introduzione di dispositivi antismog e combustibili cosiddetti “verdi” non ha risolto il problema, ma ha solo contribuito ad aumentare i costi dell’intero settore. Il futuro, quindi, dipende dallo sviluppo di nuove, economiche, non inquinanti fonti energetiche.
Le questioni economiche sono invece soprattutto legate alla vulnerabilità dei sistemi energetici basati sul petrolio, derivante a sua volta dall’insicurezza degli approvvigionamenti e dalla conseguente volatilità dei prezzi. Basti pensare che, mentre scriviamo, a causa dei sabotaggi in Iraq, della forte domanda dall’Oriente e dei dubbi dell’Opec sulla produzione giornaliera, l’oro nero ha messo le ali, superando il tetto, sui mercati internazionali, dei 50 dollari al barile.
Di fronte a questi problemi, la questione del passaggio ad un’economia energicamente ed ecologicamente sostenibile ed indipendente dai combustibili fossili (soprattutto il petrolio) non è più procrastinabile. Sarà per questo che sempre più spesso, con convinzione e dovizia di particolari, si parla dell’idrogeno come “promessa energetica del futuro”. 
Riassumendo: gli idrocarburi fossili (petrolio e metano) sono preziosi in quanto esistono sul nostro pianeta in quantità limitata e costituiscono, oltre che fonti di energia, anche materie prime preziose per una grande quantità di processi industriali. Di conseguenza, essi vanno risparmiati ed indirizzati agli usi strettamente necessari, non solo perché il loro utilizzo aumenta l’effetto serra, ma anche perché il raggiungimento del picco mondiale di produzione (previsto fra non moltissimi anni) è causa di gravi tensioni internazionali, e sempre più lo sarà in futuro.

 

Idrogeno: come viene utilizzato

Va subito chiarito che l’idrogeno non può essere propriamente considerato una fonte primaria di energia, a differenza degli idrocarburi fossili, del nucleare, delle energie rinnovabili e via dicendo. La sua produzione deriva dall’elaborazione di altre sorgenti energetiche, per cui esso va più correttamente definito come forma o vettore di energia.

q La torre di raffreddamento dell'impianto Targas della Sarlux, a Sarroch. Con un consumo di 3.500 t/giorno di residui di lavorazione e 4.200 t/g di ossigeno al 95% di purezza, l'impianto ha una capacità di cessione alla rete Enel di 550 Mw, esportando 40 mila Nm3/h di idrogeno ad alta purezza e 180 t/h di vapore fra media e bassa pressione alla Raffineria della Saras

L’esistenza dell’idrogeno è nota da secoli. Esso rappresenta l’elemento più abbondante nell’universo, come risulta dall’analisi spettrale della luce emessa dalle stelle, che rivela che la maggior parte di esse sono costituite principalmente da idrogeno. Un elemento invece molto raro allo stato elementare sul nostro pianeta, in quanto l’attrazione gravitazionale terrestre, minore di quella delle stelle e dei grandi pianeti, è insufficiente a trattenere molecole molto leggere come quelle dell’idrogeno.
Particolarmente abbondante è invece allo stato combinato: con l’ossigeno, è presente nell’acqua ; con carbonio, ossigeno ed alcuni altri elementi è uno dei principali costituenti del mondo vegetale ed animale (l’organismo umano ne contiene circa il 10 per cento del suo peso).
L’idrogeno è un gas industriale di primaria importanza. Utilizzato per lungo tempo negli aerostati, a causa della sua infiammabilità (che provocò gravissimi incidenti, fra i quali quello dell’Hindenburg) venne sostituito dall’elio, leggermente più pesante ma non infiammabile. Viene oggi usato come materia prima in un gran numero di operazioni chimiche: la più importante, la sintesi dell’ammoniaca, ma vanno anche ricordate l’idrogenazione degli oli di pesce e delle nafte, la fabbricazione del metanolo e dei carburanti sintetici.
Attualmente, l’unico impiego dell’idrogeno come combustibile avviene nei programmi spaziali della Nasa. Idrogeno ed ossigeno liquidi vengono combinati per ottenere il combustibile necessario per lo Space Shuttle ed altri razzi. Le celle combustibili a bordo, inoltre, sempre combinando idrogeno ed ossigeno, producono gran parte dell’energia elettrica richiesta. L’unico materiale scaricato dalle celle è acqua pura, utilizzata dall’equipaggio per dissetarsi.


L’idrogeno come “fonte” di energia

L’interesse all’idrogeno come produttore di energia risale ai primi anni ’70, durante la prima crisi petrolifera. Fu proprio con il verificarsi di tale situazione che diversi studiosi cominciarono a considerare il ruolo fondamentale che l’idrogeno avrebbe potuto giocare in campo energetico. Esso poteva essere agevolmente prodotto con l’impiego di energia elettrica, tramite elettrolisi, ed essere quindi immagazzinato e trasportato in diversi modi.
La visione di un sistema energetico basato sull’idrogeno, però, era strettamente correlata, nella realtà, con la disponibilità di energia elettrica a basso costo, unico vincolo alla realizzazione di un sistema efficiente e competitivo. Senza questa disponibilità ed in mancanza di valide alternative, i progetti di ricerca furono progressivamente abbandonati.
Nel corso degli anni ’80 furono fatti notevoli passi avanti nello studio delle tecnologie relative alle risorse rinnovabili ed all’efficienza energetica, tanto che la ricerca su sistemi altamente efficienti basati su idrogeno e fonti rinnovabili apparve sempre più interessante. In particolare, si intensificarono gli sforzi per lo sviluppo di tecnologie basate sul legame tra idrogeno e fonti rinnovabili, al fine di ridurre, se non eliminare del tutto, la dipendenza dai combustibili fossili tradizionali.
Attualmente, a seguito della ricerca dell’ultimo ventennio, l’idrogeno è ormai indicato come il combustibile del futuro. Le sue particolari caratteristiche, infatti, ne fanno un produttore d’energia ideale, stando almeno agli studi più accreditati in materia. L’idrogeno può derivare, come l’elettricità, da qualsiasi fonte d’energia, comprese quelle rinnovabili; la materia prima fondamentale per la produzione dell’idrogeno è l’acqua, che è disponibile in abbondanza; il prodotto dell’utilizzazione dell’idrogeno, sia tramite combustione sia attraverso conversione elettrochimica, è acqua pura o vapore acqueo.
L’idrogeno è quindi compatibile con l’ambiente, poiché la sua produzione dall’elettricità (o direttamente dall’energia solare), il suo immagazzinaggio e trasporto, nonché il suo utilizzo finale, non producono alcun agente inquinante o qualsiasi altro effetto nocivo per l’ambiente. Esso inoltre non produce alcun gas serra, in particolare CO2.
L’idrogeno è trasportabile (allo stato liquido e gassoso) e distribuibile capillarmente alla stregua di altri gas combustibili. A differenza dell’energia elettrica, è accumulabile in grande quantità, anche se con difficoltà e con una sensibile spesa energetica, sia in fase gassosa (a pressioni sino a 700-800 bar) sia in fase liquida (a pressione atmosferica ed a temperatura di -253° C), sia legato chimicamente ad altre elementi in mezzi liquidi (ammoniaca, metanolo etc.) e solidi (idruri metallici, nanostrutture di carbonio etc.).
Essendo producibile ovunque e da qualunque fonte di energia primaria, l’idrogeno è qualificato, al contrario del petrolio, come “la più democratica delle fonti energetiche”.
La tecnologia che potrebbe fare dell’idrogeno il vettore energetico vincente è quella delle “celle a combustibile”, che consente di produrre elettricità e calore combinando idrogeno ed ossigeno e rilasciando nell’ambiente solo acqua. Le celle a combustibile sono quei sistemi elettrochimici simili alla pila che producono energia elettrica mediante flussi di idrogeno e aria su due elettrodi. Le celle a combustibile vanno alimentate: a metano, per esempio, ma anche con vento o sole. Oggi sono a livello di prototipi avanzati e da qui al 2010 diventeranno più affidabili ed economiche.
Possono far muovere un’auto o generare energia elettrica e calore. Potrebbero sostituire la classica caldaia murale che ci garantisce acqua calda (sanitaria o da riscaldamento), fornendo in più anche luce. Sarebbero utili in un sistema integrato, “dialogando” con la rete e riducendone i sovraccarichi. L’ideale per le celle che danno idrogeno sono le applicazioni di piccola e media potenza che non presentino problemi di approvvigionamento di combustibile (quelli che penalizzano il mercato delle auto ad idrogeno). Quindi in casa (impianti da 3 o 5 Kw), in supermercati o condomini (impianti da 200 Kw) e piccole industrie (impianti da 1 megawatt).

 

Tecnologie di produzione

La produzione di idrogeno è il collo di bottiglia di un sistema che assicurerebbe aria pulita, ottimi rendimenti energetici e disponibilità teoricamente illimitate.
Come abbiamo visto, l’idrogeno si può ricavare dall’acqua attraverso l’elettrolisi, ma è necessario impiegare quantità considerevoli di energia elettrica, rendendo di fatto tutta l’operazione poco conveniente. Anche se lo sviluppo ed il perfezionamento delle fonti energetiche rinnovabili (solare, idroelettrico, eolico, da biomasse) potrà rendere più economico e sensato dal punto di vista ambientale la fabbricazione di idrogeno per via elettrochimica, allo stato attuale la strada maestra per ottenere l’elemento più semplice della tavola di Mendeleyev è quella di raffinarlo da idrocarburi.
Questo processo di raffinazione, o riformazione, può essere svolto in grandi stabilimenti per poi distribuire l’idrogeno ottenuto a stazioni di rifornimento sparse sul territorio, presso le stazioni stesse, o addirittura a bordo dell’auto tramite un piccolo apparecchio chiamato “reformer”, capace di produrre l’elemento che serve ad alimentare la cella a combustibile.
Uno dei nodi da sciogliere sta nella scelta dell’idrocarburo migliore, quello cioè che nel processo di raffinazione produca molto idrogeno e poca anidride carbonica, gas tristemente noto per il suo contributo all’effetto serra. Su questo punto le opinioni di scienziati, ecologisti e manager sono alquanto diversificate: meglio raffinare idrogeno partendo dal metanolo, dal metano, oppure sperimentare altre soluzioni come l’elettrolisi associata alle fonti rinnovabili?
Diversi studiosi sostengono la tesi della “grande truffa dell’idrogeno”: con l’impiego delle automobili alimentate con questo gas, affermano, l’inquinamento dovuto alla combustione dei carburanti fossili non viene eliminato, ma spostato fuori dai grandi centri urbani. Vero, ma solo se assumiamo che l’idrogeno deve essere per forza prodotto con l’uso di energia elettrica prodotta nelle centrali “fossili” oppure per reforming di idrocarburi (è stato anche affermato che i piani delle multinazionali prevederebbero proprio questo scenario).
Però, molte sono le alternative alle quali singoli inventori, laboratori dedicati, consorzi ed istituti di ricerca lavorano, in modo che l’idrogeno venga introdotto come “carburante” senza far ricorso agli idrocarburi od al carbone.
La proposta più “antica” – ma non per questo meno interessante – è quella di produrre l’idrogeno direttamente in mare, in posti ben esposti al sole, utilizzando dei grandi “tappeti” di cellule fotovoltaiche flottanti che riuscirebbero – con la corrente diretta che producono – ad ottenere sensibili quantità di idrogeno direttamente dall’acqua di mare. L’idrogeno potrebbe poi essere trasportato da navi speciali, in stato liquido, al più vicino “idrogenodotto”.
Altri ricercatori sono al lavoro con batteri e con catalizzatori metallici, che permetterebbero di scindere liquidi di vario genere in idrogeno ed altro, ottenendo così il carburante del futuro senza consumare energia elettrica.
Altri ancora sperimentano con diverse forme di scariche elettriche, che a dir loro “dissociano” le molecole dell’acqua in modo molto più efficace che non la corrente diretta normalmente utilizzata.
A puro titolo conoscitivo, si segnala che, attualmente, le principali tecnologie di produzione dell’idrogeno sono: elettrolisi dell’acqua; steam reforming del gas metano; ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi; gassificazione del carbone; gassificazione e pirolisi delle biomasse.

Immagazzinamento e trasporto

Si tratta di problemi tecnologici sostanzialmente già risolti, ma su cui si sta ancora lavorando. A parità di energia immagazzinata, i serbatoi di idrogeno compresso sarebbero più leggeri di quelli per i combustibili attuali, ma anche più voluminosi. In un’automobile ad idrogeno compresso dovremmo quindi avere parecchio spazio occupato dal serbatoio, oppure accontentarci di un’autonomia di 100-200 chilometri invece degli attuali 400-600 con benzina o gasolio. Per una densità di energia paragonabile a quella della benzina, sarebbe necessario usare idrogeno liquido, con l’inconveniente inevitabile di una certa perdita di combustibile anche quando l’auto sta ferma.
Il tutto, va chiarito, a costi assolutamente proibitivi, almeno per il momento.
L’idrogeno liquido resta comunque l’unico mezzo di immagazzinamento possibile per veicoli come gli aeromobili, dove il volume ed il peso delle bombole di idrogeno compresso sarebbe improponibile. Si sta lavorando a nuovi sistemi per immagazzinare l’idrogeno, per esempio sotto forma di idruri. I risultati sono promettenti, ma ancora in via di sviluppo.
Infine, non si presentano problemi insormontabili per trasportare l’idrogeno su lunghe distanze attraverso gasdotti simili a quelli in uso per il metano. Tuttavia, gli “idrogenodotti” dovranno essere diversi e separati, per la necessità di usare materiali e metodi specifici.

 

Il sogno dell’auto ad idrogeno

In un’auto ad idrogeno l’energia fornita dalla cella viene utilizzata per alimentare un motore elettrico. Il sistema complessivo dovrebbe avere, in teoria, un rendimento superiore a quello di un tradizionale motore a scoppio o ad iniezione. Ma ci sono ancora notevoli difficoltà tecnologiche da superare e le valutazioni sul rendimento effettivamente raggiungibile restano diversificate.
Tutti gli addetti ai lavori concordano però su un punto: con le tecniche attualmente usate in applicazioni commerciali, l’idrogeno compresso in una bombola di dimensioni ragionevoli è del tutto insufficiente a garantire un’autonomia accettabile ad un’automobile. Per avere un’autonomia di almeno 400 chilometri (come richiede attualmente il mercato automobilistico) un’auto ad idrogeno dovrebbe avere un serbatoio enorme, praticamente impossibile da portarsi appresso, e che per di più richiederebbe ore di attesa per essere rifornito. Ammesso che ci fossero i punti di rifornimento.
Sono allo studio molte tecniche per contenere l’idrogeno e per renderlo trasportabile (es. liquefazione), ma per ora non hanno superato la fase sperimentale ed è difficile prevedere se e quando sin potranno avere delle soluzioni economicamente accettabili.

Le case automobilistiche stanno quindi studiando soluzioni intermedie, in cui l’idrogeno viene prodotto a bordo del veicolo, a partire da benzina o metanolo contenuti in un normale serbatoio. Così facendo si potrebbero costruire auto simili a quelle tradizionali (come i prototipi attualmente in circolazione) con motori più efficienti, ma l’estrazione dell’idrogeno dalla benzina o dal metanolo produrrebbe inevitabilmente l’emissione di anidride carbonica e quindi, ancora una volta, non si risolverebbe il problema dell’inquinamento e per di più si continuerebbe a dipendere dal petrolio o dal metano.

Insomma, l’idrogeno a cui si fa riferimento quando si parla di automobili non ha niente a che vedere con la soluzione dei problemi di inquinamento e di dipendenza dal petrolio, perlomeno in tempi rapidi. In Usa la percorrenza media delle auto è attualmente di circa 8 chilometri con un litro di benzina; in Europa andiamo un po’ meglio, ma anche da noi le case automobilistiche spingono per farci acquistare auto sempre più grosse o potenti fuoristrada, in modo da assicurarsi gli alti margini di profitto necessari per sopravvivere in un mercato sempre più concorrenziale.
Intanto le forze politiche, di governo o di opposizione, invece di affrontare il problema con misure legislative che prefigurino realmente una diversa politica dei trasporti e di risparmio energetico, si palleggiano la responsabilità di provvedimenti inconcludenti, come i blocchi del traffico domenicale o la circolazione a targhe alterne, e si nascondono dietro promesse futuribili come l’auto ad idrogeno.
La soluzione? Niente ricette miracolose, per carità. Solo una considerazione, in attesa della vera rivoluzione energetica dell’idrogeno, ancora lontana. Siccome il settore dei trasporti assorbe oltre il 60 per cento del consumo mondiale di petrolio, la soluzione più ovvia sarebbe una riduzione dei consumi in questo settore, imponendo alle case produttrici di automobili di migliorare il rendimento dei motori (con tecnologie già disponibili) e soprattutto sviluppando il trasporto pubblico in alternativa a quello privato.
Ma questa è una soluzione che richiede un cambiamento radicale delle nostre abitudini e, soprattutto, che incrocia troppi interessi forti e politicamente influenti.

 

L’Unione europea crede nell’idrogeno

L’Unione europea crede fermamente nell’idrogeno come l’energia del futuro. Lo sostiene una comunicazione della Commissione, risalente al settembre dello scorso anno, che promuove una serie di interventi e misure in vista di una partnership europea. La comunicazione si fonda sullo studio di una task-force di tecnici, che identifica l’idrogeno come una tecnologia rispettosa dell’ambiente.
Nel nostro domani, dunque, l’idrogeno potrebbe essere il carburante per i veicoli ed il combustibile per illuminare e riscaldare le nostre città. Lo sviluppo delle tecnologie potrebbe aiutarci a sostituire, entro il 2020, il 20 per cento dei carburanti dei veicoli con alternative altrettanto efficaci, ma più sostenibili. La Commissione auspica il coinvolgimento di tutte le parti interessate del settore pubblico e privato per progetti di produzione e commercializzazione, che potranno godere anche dei finanziamenti dell’Ue.
Il commissario europeo per l'Energia e i Trasporti, Loyola de Palacio Il commissario europeo per
l'Energia e i Trasporti, Loyola
de PalacioIl documento contiene l’affermazione della necessità di sostenere l’idrogeno come fonte alternativa anche attraverso misure di mercato, che lo rendano competitivo rispetto ai combustibili ed ai carburanti tradizionali. Oggi i suoi costi sono infatti molto elevati proprio perché le tecnologie sono applicate ancora ad un livello sperimentale e la sua diffusione copre una domanda di nicchia. È auspicata invece una combinazione della ricerca applicata con un sistema finanziario, normativo ed amministrativo in grado di incoraggiarne l’utilizzo e di renderlo concorrenziale rispetto alle fonti tradizionali.
I comparti chiave identificati per una sua applicazione privilegiata sono quelli dei trasporti e dell’energia. Il rapporto della Commissione indica le azioni preliminari su cui impegnare governi, industria ed istituti finanziari per lanciare un’iniziativa di sviluppo imprenditoriale che promuova l’investimento dell’innovazione, con la partecipazione di società di capitale di rischio, investitori istituzionali, iniziative di sviluppo regionale e la Banca europea per gli investimenti, oltre che attraverso i finanziamenti dei programmi quadro di ricerca dell’Ue, i Fondi strutturali, i fondi nazionali e regionali assegnati alla ricerca, il programma Eureka.
Al tempo stesso identifica nella cooperazione ambientale con i Paesi sviluppati e con quelli in via di sviluppo il motore per la diffusione di un approvvigionamento fondato sull’idrogeno, per rimuovere gli ostacoli di mercato e favorire il trasferimento tecnologico. Viene poi ipotizzato di intensificare programmi di educazione e formazione, anche attraverso l’istituzione di un centro europeo, sul quale potranno anche convergere le informazioni su casi di successo ed esperienze pilota.
La Commissione punta soprattutto sui governi per sviluppare forme di sostegno pubblico, fiscale, finanziario e normativo, attraverso misure economiche, quali la diminuzione delle accise sul carburante e gli ammortamenti fiscali, nonché misure normative come la soppressione degli ostacoli di legge alla commercializzazione dell’idrogeno. Un altro strumento decisivo sarà rappresentato dalla semplificazione ed armonizzazione dei requisiti di sicurezza. 
Per facilitare questo percorso, la Commissione auspica la creazione di un consiglio consultivo, con l’incarico di sostenere e vigilare sulle iniziative di collaborazione europea ed internazionale.
Secondo la “visione” europea, il processo di transizione dall’attuale economia dei combustibili fossili verso un’economia basata sull’idrogeno richiederà almeno 50 anni. La fase di avviamento, che dovrebbe durare circa 20 anni, dovrà essere sostenuta – come abbiamo visto – da significativi interventi pubblici di carattere economico, finanziario e fiscale per la ricerca e lo sviluppo tecnologico e per la realizzazione delle infrastrutture per la produzione, il trasporto, la distribuzione e l’utilizzazione dell’idrogeno.
Nessuna tecnologia potrà infatti avere diffusione di massa finché l’idrogeno non sarà un’alternativa agli altri combustibili economicamente sostenibile e finché non saranno disponibili le necessarie infrastrutture. Non è concepibile, ad esempio, la diffusione di autoveicoli ad idrogeno senza un sistema di distribuzione dell’idrogeno sufficientemente esteso, come pure la realizzazione di un sistema di distribuzione senza un adeguato parco automobilistico ad idrogeno.
Che l’Ue creda all’idrogeno è ampiamente dimostrato: nell’ambito del VI Programma quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico, sono già stati stanziati 2.120 milioni di euro per sostenere la ricerca nel settore. E il richiamo di questa fonte potente, pulita e praticamente inesauribile si è fatto sentire anche negli investimenti in ricerca e sviluppo che le grandi multinazionali del petrolio, BP e Shell in primo piano, stanno effettuando da qualche anno.
Il principale ostacolo per un “futuro all’idrogeno” sta nella produzione: come abbiamo già detto, l’idrogeno non si trova libero in natura, ma va estratto dall’acqua, dal metano, dal carbone, dagli scarti di raffineria. In ogni caso, per effettuare questa operazione è necessario usare energia, che deve essere già stata prodotta in qualche modo. Contro gli ottimismi eccessivi, proprio al recente Consiglio dei ministri Ue dell’ambiente e dell’energia, riunitosi informalmente, è stato ricordato che, a meno di un salto improbabile nella tecnologia delle energie rinnovabili (biomasse, solare, eolica, idroelettrica), bisognerà utilizzare, almeno nel breve periodo, petrolio o nucleare nel sistema di produzione centralizzato dell’idrogeno.

 

La sperimentazione delle tecnologie dell’idrogeno in Italia

Eppure, solo puntando decisamente sull’idrogeno prodotto dalle energie rinnovabili, si potrebbe dare un’ulteriore e decisiva spinta allo sviluppo delle stesse, risolvendone il problema dell’accumulo, esaltando il loro carattere di fonti locali e decentrate ed offrendo l’occasione per la nascita di nuove industrie basate sull’uso di risorse endogene.
In una prospettiva di lungo termine, grazie all’enorme potenziale di fonti rinnovabili, sarà possibile produrre idrogeno in modo totalmente eco-compatibile, utilizzando tre processi di produzione: elettrolisi (l’energia solare, diretta o indiretta, viene convertita in energia elettrica da utilizzare per ottenere la scissione dell’acqua in idrogeno ed ossigeno); termolisi (si utilizza la componente termica dell’energia solare per ottenere la scissione dell’acqua o di altre sostanze contenenti idrogeno); fotosintesi (si utilizza la luce per dividere acqua e/o composti organici, con produzione di idrogeno e biomassa).
Nel breve-medio termine, ovvero nella prima fase della transizione, esso dovrà invece essere prodotto principalmente dai combustibili fossili, con processi di reforming e di gassificazione già largamente utilizzati per altre applicazioni nei settori chimico e petrolchimico. Questi due processi producono, come abbiamo già avuto modo di dire, gas combustibili che dopo vari trattamenti possono essere ricondotti a una miscela di soli idrogeno ed anidride carbonica, separabili con tecnologie già disponibili.
Ma l’intero processo ha senso, nei riguardi dell’effetto serra, se l’anidride carbonica viene “sequestrata” in ambienti diversi dall’atmosfera. Le varie ipotesi considerate prevedono lo stoccaggio in fondo agli oceani e nel sottosuolo in acquiferi salini, miniere e giacimenti esauriti di petrolio e gas ecc., oppure la sua “mineralizzazione”, con trasformazione, ad esempio, in carbonati, in modo da realizzare quel processo virtuoso noto come “decarbonizzazione” dei combustibili fossili.
In questo contesto, l’Italia è inserita con un ruolo da protagonista in numerosi progetti di ricerca che interessano diversi enti pubblici (Cnr, Enea, Università), gruppi industriali (Ansaldo, Enel, Eni, Fiat), pubbliche amministrazioni (Regioni e Comuni), supportati con finanziamenti nazionali (Miur-Fisr) ed internazionali (VI programma quadro dell’Ue). Da ricordare, inoltre, diverse iniziative internazionali, alle quali il nostro Paese ha dato la sua adesione e partecipa attivamente.

 

La Sardegna in prima linea nella ricerca

1 Carlo Rubbia, presidente del Comitato strategico di 
Polaris

Anche la Sardegna strizza l’occhio all’idrogeno. E non da oggi: lo fa, con una certa discrezione, ormai da qualche anno, guardando a quel che accade soprattutto in Islanda e cercando di creare i presupposti per l’avvio di una collaborazione con i centri di ricerca in diverse parti del mondo (Islanda, come detto, e Stati Uniti soprattutto).
Poco meno di un anno fa, si è parlato in maniera “ufficiale” di idrogeno ad Alghero, nel corso del convegno “Industria, ambiente, energia”. Ad indicare l’apertura di un nuovo orizzonte è stato Alberto Meconcelli, presidente della Sfirs, la finanziaria regionale. «Un paio di anni fa ci siamo soffermati su quello che si faceva in Islanda – ha detto – dove si sta sviluppando una particolare attività di ricerca sull’idrogeno. Essendo dotata di una significativa risorsa geotermica, infatti, l’Islanda ha trovato il sistema di generare l’idrogeno e sta creando i presupposti per affrancarsi dall’utilizzo degli idrocarburi. Così ci siamo posti l’interrogativo se anche in Sardegna fosse possibile dare spazio ad una opportunità così importante».
Il modello di sviluppo energetico è proiettato nel prossimo decennio (ed oltre), ma i primi contatti avviati hanno fatto trapelare un cauto ottimismo. «Con il Consorzio 21 – ha proseguito il presidente della Sfirs – è stata formata una società volta a sostenere la ricerca in settori tecnologicamente evoluti». E la scommessa è di quelle importanti: creare nell’isola una «capacità autonoma di ricerca», grazie alle risorse messe a disposizione dall’Unione europea, anche ricorrendo ai consorzi fra nazioni. L’idrogeno non è più un obiettivo lontanissimo: ci sono realtà che hanno già superato la fase di sperimentazione e mettono in vetrina i risultati dei progetti: è il caso dell’aeroporto di Monaco, dove circolano autobus alimentati ad idrogeno.
«Non è fantascienza – ha concluso Meconcelli – perché dal punto di vista scientifico è già stato tutto inventato. Si tratta di crederci: da noi l’idrogeno può essere prodotto con l’eolico, oppure con il solare». Una prima forma di collaborazione, secondo Meconcelli, potrebbe essere avviata per alimentare con l’idrogeno gli autobus dell’Arst.
Nel gennaio del 2004, il premio Nobel, Carlo Rubbia, che presiede il Comitato strategico di Polaris, il parco scientifico e tecnologico realizzato a pochi chilometri da Pula (18 mila metri quadrati di insediamenti immersi nei 152 ettari del parco di Piscina Manna, con 28 centri di ricerca ospitati), ha illustrato ai rappresentanti della Giunta regionale la “ricetta” per risolvere il problema energetico della Sardegna.
Secondo Rubbia, la nostra isola è il luogo ideale per lo sviluppo di energie pulite e rinnovabili, essendo presenti le condizioni ottimali per la diversificazione delle fonti di energia da combustibili fossili ed inquinanti, dalle quali oggi la Sardegna è quasi totalmente dipendente. «Grazie alle tecnologie innovative, il solare potrebbe a breve termine diventare la principale sorgente di energia elettrica e gli impianti pilota potrebbero essere realizzati nel giro di quattro, cinque anni – ha spiegato lo scienziato –. Per quanto riguarda l’idrogeno prodotto da energia solare, potrebbe a medio termine rimpiazzare una frazione significativa del petrolio utilizzato per i trasporti».

1 Un ricercatore del Crs4  illustra la simulazione di una membrana per il trasporto di protoni per un progetto di Energia rinnovabile

Secondo il premio Nobel, l’introduzione di questi metodi innovativi permetterebbe alla Sardegna di arrivare ad una progressiva indipendenza energetica, con l’utilizzo di energie rinnovabili pulite ad impatto ambientale nullo ed a costi confrontabili con quelli dei combustibili fossili odierni.
Vediamo dunque nel dettaglio queste strade indicate da Rubbia, per consentire alla Sardegna di raggiungere gradualmente l’indipendenza energetica con emissioni zero.
Il primo è il “Metodo solare termodinamico a concentrazione” e si basa sull’impiego di concentratori solari, moderna versione degli specchi di Archimede, e sull’immagazzinamento dell’energia solare raccolta in un serbatoio di accumulo termico. L’utilizzo di questa metodologia consentirebbe di disporre di riserve in maniera continuativa, anche di notte, eliminando così il problema dell’intermittenza della fonte solare.
Il secondo metodo illustrato da Rubbia riguarda la produzione di idrogeno direttamente dall’energia solare, con l’obiettivo di ridurre significativamente i consumi di petrolio legati ai trasporti: auto, mezzi pubblici e movimentazione delle merci. Entrambe le metodologie dovrebbero infine essere coordinate in un progetto “faro” da esportare a livello nazionale ed europeo.
Le “rivelazioni” di gennaio sono state confermate da Rubbia a Pula, nello scorso mese di luglio, in occasione della 14° Conferenza nazionale dell’Associazione dei parchi scientifici e tecnologici italiani. Il premio Nobel ha dato anche un’ulteriore notizia: «Le sperimentazioni compiute nell’impianto pilota di Priolo, frutto del progetto Archimede dell’Enea, potranno presto passare alla fase applicativa in Sardegna».
1 Bruno D'Aguanno, capo del
dipartimento Energia del
Crs4Nei pressi di Siracusa, più precisamente a Priolo Gargallo, è stato realizzato un impianto basato proprio su un’idea del grande Archimede. Sostanzialmente si tratta di specchi parabolici lineari che concentrano la luce solare su un particolare fluido a base di una miscela di sali, che ha la caratteristica di mantenere molto a lungo il calore accumulato e di cederlo sotto forma di vapore ad alta concentrazione, e quindi di energia. Gli impianti pilota siciliani sono a buon punto: «Stiamo procedendo molto bene. Siamo ad un passo dal passaggio alla fase applicativa – ha spiegato Rubbia -. Il problema non è tanto creare energia pulita, ma farlo a costi concorrenziali con quella fossile, rendendola conveniente. E ci stiamo riuscendo. Ma bisogna muoversi in fretta, perché in questo campo la concorrenza è feroce. Sarebbe davvero un peccato perdere un’occasione del genere».
Al Crs4 un gruppo di lavoro, che fa capo proprio a Carlo Rubbia, lavora assiduamente per arrivare, in tempi brevissimi, al primo disegno di un progetto per la produzione di energia solare con un sistema termodinamico. Un sistema, a detta di Bruno D’Aguanno, responsabile del settore servizio energia del Centro di ricerca, diverso ed innovativo rispetto a quello di Priolo. In cosa consiste la differenza? «Le novità saranno nel ricevitore – ha spiegato – dove non passerà più il sale fuso, e nel sistema di accumulo ad elementi solidi. Rispetto al prototipo di Priolo, garantirà maggiore rispetto dell’ambiente e consentirà una diminuzione dei contenitori per lo stoccaggio del calore. Precisamente, uno anziché due, come in Sicilia».
«Siamo ancora nella fase di partenza – ha precisato D’Aguanno – dobbiamo individuare i partner del progetto, mentre è delineato lo schema di finanziamento governativo». Possibile anche l’intervento economico dell’Unione europea e della Regione: la realizzazione del dimostratore, previsto dal progetto, avrà un costo di 40 milioni di euro. Da non trascurare l’importante ricaduta per le industrie sarde, che potrebbero essere incaricate di produrre gli strumenti ed i materiali necessari all’impianto.

Idrogeno dal carbone Sulcis

Nel programma di produzione dell’idrogeno, ci potrebbe essere un futuro anche per il carbone Sulcis. È questo il dato più importante emerso dal convegno “Idrogeno dal carbone, realtà e prospettive” tenutosi  a Carbonia nel mese di settembre dello scorso anno.
Le soluzioni, individuate già da tempo in laboratorio, sono state illustrate da Giorgio Cau, dell’Università di Cagliari. «L’idrogeno – ha spiegato, parlando di reazioni chimiche ed impianti pilota – non inquina, perché a fine processo produce acqua. L’anidride carbonica ottenuta nel processo di trasformazione può essere contenuta in appositi ambienti, evitando l’effetto serra».
Mario Porcu, presidente della Sotacarbo (società di ricerca partecipata dalla Regione Sardegna e dall’Enea) ha ricordato che da diversi mesi è in corso un progetto di ricerca sulla produzione di idrogeno dal carbone, affidato dal ministero delle Attività produttive alla stessa società sarda, all’Enea, all’Ansaldo Ricerche ed al Dipartimento di Ingegneria meccanica dell’Università di Cagliari. Il progetto prevede la realizzazione di una piattaforma pilota basata su un gassificatore di carbone di piccola taglia (5 megawatt). Il prodotto della gassificazione verrà sottoposto a vari trattamenti fisici e chimici di purificazione e trasformazione, che consentiranno di ottenere un gas costituito essenzialmente da idrogeno e anidride carbonica, che verranno separati con ulteriori processi.
L’idrogeno alimenterà infine un  motore a combustione interna, con produzione di energia elettrica.
Il progetto ha un costo di circa 11 milioni e mezzo di euro, la metà dei quali finanziati dal Miur con la legge 297 del 1999.
L’impianto dimostrativo, in avanzata fase di progettazione, sarà realizzato a Carbonia, nel centro ricerche della Sotacarbo. Un centro ricerche modello ed ultramoderno, ricavato nei vecchi magazzini della Carbosarda, nell’ex miniera di Serbariu, ristrutturati dal comune di Carbonia con una spesa di un milione e settecentomila euro.
«In quei locali – ha detto Porcu – partiranno anche i corsi di formazione professionale. Si apre così la sfida con gli altri paesi del mondo, perché il nostro sviluppo economico ed industriale, in futuro, sarà basato sulla disponibilità di energia pulita ed a basso costo. È vero che si devono reperire le risorse finanziarie, ma basterebbe destinare alla causa quelle risorse previste dal Dpr/94 per la gassificazione del carbone Sulcis».
Il progetto Sotacarbo rappresenta il primo, concreto passo in Sardegna per l’affermazione delle ricerche sulle tecnologie energetiche più convenienti per la produzione di idrogeno. È auspicabile che ad esso seguano anche gli altri, basati sulla produzione di idrogeno da energie rinnovabili (specialmente solare) e sul suo utilizzo in sistemi energetici innovativi (per esempio, celle a combustibile).