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Tre progetti per l'energia
Gherardo Gherardini  

Poche novità e la maggior parte per niente buone, nello scenario energetico regionale di questo inizio di 2008. Uno scenario che, ovviamente, risente del panorama internazionale: da un lato, la quotazione del petrolio ha sfondato il tetto dei 100 dollari al barile, con conseguente crescita della tensione internazionale per il controllo delle riserve; dall’altro lato, i consumi alle stelle di Paesi emergenti, come Cina e India, premono sulla produzione.
Certo, l’oro nero non manca, ma sarà sempre più difficile estrarlo. Quanto al carbone, le riserve sono ancora notevoli e una parte di queste giace nel sottosuolo della Sardegna. La quale può assumere un ruolo centrale anche sotto altri aspetti: nessuno ha, come noi, vento, sole e carbone. Il rincaro del greggio e di tutte le fonti energetiche non rappresenta solo un onere per l’attività produttiva e per le famiglie, ma anche un’opportunità di valorizzazione di risorse inutilizzate, o quasi.
Nel sottosuolo del Sulcis, ad esempio, ci sono centinaia di milioni di tonnellate di carbone e noi restiamo ancora imbrigliati nelle procedure che ci impediscono di sfruttare il giacimento. Eppure abbiamo un centro di ricerche sulle tecnologie pulite del carbone (Sotacarbo), che ha messo a punto la tecnica per separare e confinare sottoterra l’anidride carbonica, e contemporaneamente sfruttare le potenzialità dell’idrogeno come vettore energetico.
Per non parlare del Crs4, al quale il ministero dell’Università e della Ricerca ha affidato la realizzazione di un progetto per dimostrare la fattibilità della produzione di energia elettrica utilizzando la concentrazione dei raggi solari.
Per tornare al drammatico presente, registriamo lo stallo in cui si trovano le industrie “energivore”, in attesa dei pronunciamenti europei sulla “guerra delle tariffe” e sulla concessione delle agevolazioni Cip6 al progetto integrato miniera Nuraxi Figus-centrale elettrica, fermo al palo di un appalto mai aggiudicato.

Polo di Portovesme

Nastri trasportatori di biomasse nella centrale termoelettrica Nastri trasportatori di biomasse nella centrale 
termoelettrica "Grazia Deledda" dell'Enel,
a Portovesme, operativa dalla fine del 2006Diverse le questioni rimaste in sospeso con la caduta del governo Prodi e il conseguente scioglimento delle Camere. Prima fra tutte, quella ormai cronica del caro energia: esiste una legge (la numero 80 del 2005) che stabilisce tariffe speciali per ogni fabbrica di Portovesme, tenendo conto dei singoli processi produttivi e del prezzo medio pagato dai diretti concorrenti europei. Ma quella legge è oggetto di una procedura di infrazione (non ancora conclusa) da parte dell’Unione europea.
L’allora ministro Bersani aveva scelto la strada della mediazione politica, puntando a far emergere come problema di politica economica il caro energia patito dalle cosiddette aziende energivore. Purtroppo, la procedura di infrazione è ancora in corso e, negli anni, si è arricchita di dossier, osservazioni, vertici, incontri, richieste di chiarimenti sull’asse Roma-Bruxelles. Il tutto senza approdare al risultato tanto agognato da industrie, organizzazioni sindacali e lavoratori dell’isola.
A distanza di anni dai primi allarmi sul caro energia per le produzioni industriali sarde, le multinazionali non hanno avuto ancora alcuna garanzia sul regime tariffario previsto dalla legge 80 e mai applicato, che a tutt’oggi risulta sotto la lente della commissaria alla Concorrenza, l’olandese Neelie Kroes. Una situazione di stallo assoluto che si traduce in una forte incertezza sugli investimenti di lungo periodo, in particolare nell’area industriale di Portovesme, dove le multinazionali hanno ribadito in più occasioni di non poter fare programmazione industriale senza usufruire di un prezzo dell’energia in linea con quello sostenuto dai concorrenti europei.
Come se non bastasse, anche un altro dossier è entrato nel mirino di Bruxelles dopo un ricorso presentato da un’azienda lombarda: quello sui contratti bilaterali, cioè gli accordi diretti tra produttore e consumatore per ridurre il prezzo dell’energia. Nel caso della Portovesme srl, il contratto è stato siglato con l’Enel, mentre Alcoa lo ha siglato con Endesa. Entrambi gli accordi sono stati conclusi a seguito di una decisa azione della Regione, che ha concordato con le due aziende una serie di interventi nell’eolico e nel nord Sardegna.
In questo clima di perenne incertezza, nella zona di Portovesme comincia ormai a diffondersi una buona dose di sfiducia nei confronti delle autorità politiche regionali e nazionali, che sembrano soffrire di una sorta di sudditanza nei confronti degli organismi europei e peccano della necessaria determinazione. «Sembra che per le nostre industrie – osserva amaramente Roberto Straullu, segretario provinciale Uilm – non ci sia mai stato veramente l’impegno che si richiede per dare certezze al futuro del settore metallurgico. Portovesme garantisce complessivamente oltre 3 mila posti di lavoro, ai quali vanno ad aggiungersi quelli di un indotto che abbraccia vari settori (commercio, artigianato, servizi all’agricoltura, pesca). Negare la sopravvivenza del polo industriale significa ordinare lo spopolamento del Sulcis e dell’Iglesiente. Disponiamo di un’economia basata sulla metallurgia e non è sensato spezzare la spina dorsale del territorio».
Del resto, anche il sindacato riconosce che i vincoli del Piano paesaggistico regionale non consentono di adeguare le strutture ricettive del Sulcis Iglesiente a quelle delle altre regioni italiane e delle zone del Nord dell’isola, che dispongono di alberghi, resort e villaggi sul mare.
«Aziende e lavoratori – aggiunge Giovanni Matta, segretario Cisl – non possono continuare a convivere in una situazione di precarietà. Malgrado le promesse dell’ex ministro Bersani e dell’assessore regionale Rau sia per le tariffe che per la soluzione strutturale, niente è successo. L’unica certezza riguarda l’Alcoa, che deve continuare a versare la fideiussione all’Autorità dell’energia per garantirsi il diritto a tariffe agevolate, in attesa delle decisioni della Commissione sulla concorrenza».
Alcoa Trasformazioni, Portovesme: linea taglio placche di alluminio Alcoa Trasformazioni, Portovesme: linea taglio
placche di alluminioÈ proprio così. La richiesta di Alcoa di sospendere la fideiussione a copertura del godimento di tariffe speciali nell’acquisto di energia elettrica è stata respinta, quindi l’azienda dovrà continuare ad impegnare milioni di euro per prestare la garanzia imposta dall’Autorità. Una garanzia che, nel tempo, ha raggiunto cifre astronomiche, data la consistenza dei consumi di energia elettrica, e che in caso di pollice verso dell’Unione europea la multinazionale dell’alluminio sarebbe costretta a riversare nelle casse dello Stato. Una situazione tutt’altro che gradevole, già denunciata nel passato e che ha più volte fatto nascere timori di una delocalizzazione degli impianti in altri Paesi.
Bisogna dire che qualche segnale incoraggiante è arrivato alla fine di febbraio, quando si è sparsa la voce che la Commissione europea sarebbe orientata a riconoscere la specificità sarda (solo per l’Alcoa).
In ogni caso, già da dicembre 2007 l’azienda ha dato il via libera alla prima parte dei lavori programmati per migliorare la produttività degli impianti. È infatti entrato in funzione il mega-trasformatore, completamente revisionato con una spesa di tre milioni di dollari, che mette a disposizione dei tecnici della fabbrica le apparecchiature elettriche in grado di garantire continuità nell’immissione di corrente nelle celle elettrolitiche.
Diversa la situazione alla Portovesme srl, dove da ormai tre anni, con la chiusura dell’Imperial Smelting e nell’attesa degli investimenti – legati alla certezza di tariffe energetiche competitive – si vive cercando di evitare l’uscita dei lavoratori dal ciclo produttivo. Azienda e sindacati hanno raggiunto un accordo che, per il momento, allontana lo spettro delle liste di mobilità, che per la situazione occupazionale del Sulcis equivale a un anticipo di licenziamento. Un accordo che significa: riduzione per tutti di poche ore di lavoro e/o stipendio per compensare il mantenimento, in forme più originali, di tutti i dipendenti in fabbrica.
A seguito del lodevole atto di solidarietà, è stato concordato un percorso di calendarizzazione di Rol (Ridotto orario di lavoro), ferie e recuperi. In particolare, tre giorni di recupero saranno utilizzati nell’attività di formazione e informazione sui temi della salute, della sicurezza e della tutela ambientale. Con la specificazione che si tratta comunque di ore di lavoro, per cui, in caso di emergenze o di particolari esigenze aziendali, sarà possibile il ricorso alle prestazioni lavorative dei corsisti.
Insomma, un accordo minimale, che serve a tenere sotto controllo il sistema delle relazioni industriali, ma che non apre alcuno spiraglio in prospettiva futura. «Le soluzioni contingenti e provvisorie adottate – sottolinea l’amministratore delegato di Portovesme srl, Carlo Lolliri – servono esclusivamente ad assicurare la mera sopravvivenza, ma non consentono di garantire il completamento di tutti quegli investimenti (raddoppio dell’impianto elettrolitico) che costituiscono la sola possibilità di sviluppo e permetterebbero la permanenza nel territorio per almeno altri 15 anni. Peraltro, le soluzioni definitive consentirebbero anche di procedere a nuove assunzioni».
Carlo Lolliri, amministratore delegato di Portovesme srl Carlo Lolliri, amministratore
delegato di Portovesme srlNonostante le difficoltà, l’azienda sta continuando nel programma di investimenti a breve termine (12 milioni di euro nel 2007), in attuazione degli impegni assunti con le organizzazioni sindacali. Per il resto – investimenti a lungo termine, ivi compreso l’interesse per il progetto integrato miniera Nuraxi Figus/centrale elettrica – non resta che attendere il lasciapassare di Bruxelles. «I segnali che abbiamo avuto sino ad oggi  conclude amaramente Lolliri – fanno presumere che, se arriverà, non sarà comunque in tempi brevi».
Il panorama grigio dell’industria è completato dalla situazione di grave crisi dell’Eurallumina, forse la peggiore negli oltre trent’anni di attività dell’azienda che produce allumina esportata in tutto il mondo. Una crisi di cui si vociferava da settimane e che ora è ufficiale: lo stabilimento di Portovesme (450 occupati più i lavoratori degli appalti) è in perdita a causa della concomitanza di una serie di fattori. Si va dal prezzo del petrolio, che ha fatto lievitare a dismisura il costo del trasporto della bauxite dall’Australia allo scalo sulcitano, alle quotazioni altalenanti dell’allumina sui mercati, al costo dell’energia, più altre variabili che, in concreto, hanno portato l’Euroallumina alla difficile situazione attuale.
Per ora l’azienda non si pronuncia sulle possibili conseguenze, anche perché non si conoscono ancora le strategie dell’azionista Rusal per ripianare le perdite, correggere il trend e rilanciare la produzione. Ma, così come è stato illustrato ai sindacati alla fine di febbraio, il momento non è affatto roseo. 

Carbosulcis

L'amministratore delegato dell'Enel Fulvio Conti firma, nel luglio scorso, il protocollo d'intesa con la Regione Sardegna L'amministratore delegato di
Enel spa, Fulvio Conti, firma,
nel luglio scorso, il protocollo
d'intesa con la Regione  L’attività estrattiva nella miniera di Nuraxi Figus procede secondo i programmi stabiliti. Ci sono state le prime assunzioni e altre arriveranno, perché il lavoro è garantito per almeno due anni dal contratto stipulato con l’Enel per la fornitura di un milione e duecentomila tonnellate di combustibile fossile.
Un arco di tempo che potrebbe essere sufficiente per completare la gara internazionale per il progetto integrato miniera-centrale e permettere all’acquirente di realizzare l’impianto che produrrà l’energia elettrica in grado di soddisfare anche le esigenze delle fabbriche di Portovesme.
Ciò significa che, malgrado i risultati positivi che Carbosulcis sta conseguendo, il futuro della miniera resta legato alla privatizzazione e quest’ultima, a sua volta, al riconoscimento dei benefici previsti dal Cip6 a vantaggio degli imprenditori che costruiranno la centrale elettrica.
In che cosa consiste questo “inghippo” del Cip6 legato alla centrale che si dovrebbe costruire? È, in sostanza, l’autorizzazione a vendere sul mercato una quota dell’energia elettrica prodotta a tariffa superiore (da tre a cinque volte) rispetto al prezzo medio; l’altra quota deve essere ceduta obbligatoriamente al gestore pubblico (in questo caso al prezzo medio di mercato) per essere messa a disposizione delle aziende cosiddette energivore. Queste le condizioni del bando, che permetterebbero all’acquirente una gestione redditizia dell’impresa: prendere la miniera, realizzare la centrale, vendere parte dell’energia con i contratti bilaterali alle aziende metallurgiche grandi consumatrici, e contestualmente vendere l’altra parte con prezzi più remunerativi.
Ma per il progetto integrato miniera/centrale elettrica studiato dalla Regione per rilanciare il sito carbonifero di Nuraxi Figus e il polo industriale di Portovesme si prospettano tempi lunghi. Infatti, dopo l’ultima richiesta di chiarimenti inoltrata dalla Commissione europea al Governo italiano alla fine di gennaio, appare chiaro che l’istruttoria avviata dall’esecutivo comunitario sul bando per la concessione integrata del sito della Carbosulcis e la realizzazione di una centrale termoelettrica a Portovesme, è ben lungi dal concludersi. Formalmente, quella firmata da Jorma Pihlatie, del dipartimento che si occupa di Concorrenza, è una semplice richiesta di ulteriori notizie, ma adombra qualche perplessità proprio sul punto chiave del progetto, cioè quello che equipara il carbone Sulcis alle fonti rinnovabili, riconoscendo l’applicazione dei vantaggi del Cip6.
La Commissione europea è stata investita della questione nel 2006, a seguito del ricorso di una società italiana che produce energia eolica e che ha impugnato l’accordo tra la Regione e l’Enel (concessione di energia a prezzi scontati alle industrie in cambio di autorizzazioni per parchi eolici).
Da quel momento, si è attivata la procedura di verifica («Nessuna procedura di infrazione», precisano alla Carbosulcis) sulla compatibilità del bando col quadro legislativo nazionale ed europeo. Un iter che ha comportato il susseguirsi di richieste di chiarimento da parte di Bruxelles su diversi punti del progetto e che di fatto ne ha determinato il momentaneo (si spera) blocco.
I dirigenti e i funzionari della Carbosulcis, del ministero per le Attività produttive e dell’assessorato regionale dell’Industria sono al lavoro per sciogliere tutti i nodi tecnici e giuridici (almeno otto) evidenziati dalla Commissione. «Ci vorranno diversi mesi – spiega il presidente della Carbosulcis, Andreano Madeddu – prima che il progetto possa riprendere il suo corso. In ogni caso, il piano industriale e degli investimenti della società rimane valido».
Lo dimostra la ricomparsa di Carbosulcis, dopo un periodo di assenza, all’interno di Assomineraria, l’associazione delle imprese minerarie che operano in Italia, associata a sua volta a Confindustria. La presenza della società sarda ha un duplice significato: da un lato, la conferma dell’impegno della Regione nel portare avanti il progetto del carbone Sulcis; dall’altro, l’interesse della società presieduta da Madeddu (entrato anche a far parte del Consiglio direttivo del settore minerario dell’Associazione) verso i processi e le tecnologie della Css (Carbon capture and storage), nei confronti delle quali Carbosulcis è più avanti dei suoi concorrenti italiani.
La “cattura” dell’anidride carbonica, più che diventare business alternativo all’estrazione del minerale, potrebbe trasformarsi in quel differenziale di redditività della miniera tale da renderla più appetibile per i colossi stranieri che, si auspica, vogliano ancora partecipare al bando per la sua privatizzazione. 

Centrale di Fiume Santo

ii Jesus Olmos, amministratore
delegato di Endesa EuropaAncora incognite sul futuro di Fiume Santo. Dopo l’acquisizione da parte del duo Enel-Acciona della società spagnola Endesa, è stato deciso lo “spezzatino” delle centrali italiane. E nel progetto rientra anche la centrale del nord Sardegna, pezzo pregiato del gruppo iberico, che dovrebbe passare ad A2A, multiutility lombarda nata dalla fusione fra Asm di Brescia e Aem di Milano.
Il fatto è che proprio all’interno di A2A le opinioni su Fiume Santo sembrerebbero divise. Da una parte, Asm Brescia vorrebbe chiudere la partita al più presto, per mettere le mani sulla centrale (che produce il 40 per cento degli utili lordi di Endesa Italia). Dall’altra, Aem Milano – oberata da circa 5 miliardi di debiti – vorrebbe vendere il 20 per cento di A2A in Endesa Italia a E.on (l’azienda tedesca uscita sconfitta dall’offerta pubblica di acquisto su Endesa Europa, portata a termine da Enel-Acciona), incassando i contanti (circa un miliardo) e dimenticandosi di Fiume Santo.
«I contrasti fra Brescia e Milano – dichiara Pierfranco Delogu, della Filcem Cgil – ci preoccupano. Siamo stati contrari da subito allo spezzatino, ma ancora di più temiamo l’incertezza sugli assetti societari. Avere un proprietario definito – aggiunge il sindacalista – favorirebbe l’autorizzazione ministeriale per la riconversione dei due gruppi a olio combustibile di Fiume Santo in un nuovo gruppo a carbone (cinque anni di lavori, 500 milioni di euro di investimento)». Anche Mario Marras, leader della Flaei-Cisl, si sofferma sui rischi della vicenda: «Siamo in attesa di capire quale sarà il futuro della centrale, ci sono investimenti da fare e situazioni da consolidare. I ritardi pesano anche sull’attività quotidiana dell’azienda». 

Cavo sottomarino Sapei

Il Sapei (Sardegna-Penisola Italiana) è una delle opere strategiche più importanti programmate da Terna spa, la società che gestisce la rete di distribuzione dell’energia elettrica sul territorio nazionale, per potenziare il sistema elettrico nazionale. Si tratta di un doppio cavo sottomarino in corrente continua a 500 kV, destinato ad entrare nel Guinness dei primati per diversi motivi: lunghezza, profondità, investimento.Ecco i numeri del record: un costo di 700 milioni di euro; 1.600 metri di profondità, la più alta mai raggiunta al mondo per la posa di un cavo sottomarino; 420 km, la più lunga linea elettrica mai realizzata in Italia e il secondo collegamento più lungo al mondo, inferiore solo a quello tra Olanda e Norvegia.

L'amministratore delegato di Terna spa, Flavio Cattaneo L'amministratore delegato
di Terna spa, Flavio Cattaneo

La posa in opera del Sapei, che si snoderà tra la Sardegna e il Lazio, avverrà  nel pieno rispetto dell’ambiente sottomarino e della fauna marina, in particolare i cetacei presenti nel bacino del Mediterraneo, facendo tesoro delle esperienze maturate in lavori analoghi nei mari australiani.
Qualche dato sullo stato di avanzamento dell’opera. Autorizzati in soli 12 mesi (anche questo un record), i lavori sono stati avviati nell’ottobre del 2006 con indagini geofisiche e geotecniche sul fondale marino dove dovrà essere posato il cavo. Durante il 2007, sono state compiute con successo le prove di posa di 10 km di cavo a 1.600 m di profondità. Nel dicembre scorso, sono state effettuate le prime attività in mare sia a Nettuno che in Sardegna, nella zona compresa tra Fiumesanto e Punta Tramontana. Sono attualmente in corso le attività di posa dei primi 150 km di cavo nel tratto in alto fondale.
La tempistica generale dei lavori prevede il completamento del primo cavo, con un funzionamento dell’impianto a metà potenza (500 MW), entro la metà del 2009, ed il completamento del secondo cavo entro la fine del 2010.
In totale, finora, sono stati prodotti 300 km di cavo del primo polo; i restanti 120 km sono in corso di produzione. Completate, inoltre, le attività di progettazione e qualifica delle stazioni di conversione, per le quali sono in corso le realizzazioni delle apparecchiature principali. L’inizio dei montaggi è iniziato a febbraio 2008, in linea con i tempi programmati.
I due cavi che compongono il colle­ga­mento saranno realizzati dalla Prysmian Cable & Systems (ex Pirelli ca­vi). A posarli sul fondo del mare dovrebbe essere la nave specializzata “Giulio Verne”, di proprietà della stessa Prysmian Cables & Systems.
Le stazioni elettriche di conversione sulle due sponde del Tirreno saranno costruite invece dal gruppo ABB. Gli impianti verranno costruiti a Fiumesanto, vicino al carbonile, e nell’ex centrale nucleare di Latina, dotata di quattro linee da 380 chilowatt. Se a Latina sarà indispensabile prolungare la linea con un cavo terrestre lungo 15 chilometri, l’area di Fiumesanto offrirà invece una soluzione molto più semplice: appena 800 metri di cavo interrato, dal punto d’ingresso in mare alla superficie dove Terna costruirà la struttura per l’impianto di conversione.
Le opere civili sono affidate all’Ati (Associazione temporanea di imprese) Pellegrini Acmar.
Questi i benefici che deriveranno dal cavo sottomarino: aumento della sicurezza del sistema elettrico sardo (i 1.000 Mw del Sapei corrispondono a oltre il 50% del fabbisogno dell’isola); possibilità di esportare verso il continente produzione termoelettrica più efficiente (1/3 delle centrali elettriche è alimentato a carbone) e produzione da fonte rinnovabile, in particolare eolica, in forte sviluppo; opportunità per gli operatori elettrici della Sardegna di partecipare con minori vincoli di scambio alle contrattazioni del Mercato elettrico, garantendo allo stesso tempo maggiore flessibilità e sicurezza di esercizio del sistema; possibilità di far fronte alla dismissione, prevedibile nei prossimi anni, dell’attuale collegamento a 200 kV in corrente continua tra Sardegna, Corsica e Italia (Sacoi), per l’obsolescenza del cavo che è in esercizio da oltre 40 anni. Ottenere l’autorizzazione in un solo anno – un tempo piuttosto breve se confrontato, ad esempio, con i 4 anni del cavo Italia-Grecia – è stato possibile grazie ad un approccio innovativo di concertazione che Terna ha condiviso con tutte le amministrazioni coinvolte. In tal modo, ogni aspetto tecnico e ambientale è stato affrontato in via preliminare alla realizzazione del progetto.
Per valutare gli effetti dell’opera sul Parco marino “Santuario dei Cetacei”, nell’alto Mediterraneo, Terna si è avvalsa anche dei risultati di esperienze internazionali di successo come il Basslink, il collegamento in corrente continua tra lo stato di Victoria in Australia e l’isola di Tasmania, basate su studi fatti dal Tethys Research Institute, che dimostrano che i cavi non generano interferenze negative sui mammiferi marini.
Per ridurre inoltre l’impatto visivo delle opere, sono state adottate soluzioni architettoniche altamente tecnologiche.
Sul fronte ambientale, inoltre, è stato attivato un programma di monitoraggio sullo stato di salute della “Posidonia oceanica”, pianta acquatica che costituisce il più importante ecosistema del mare Mediterraneo.
Da ultimo, Terna ha anche previsto interventi di riqualificazione ambientale nel Parco del Foglino. 

Metano

Prosegue a ritmo serrato l’attività preliminare alla posa del metanodotto che trasporterà il gas algerino nella penisola, passando attraverso la Sardegna. Alla fine di febbraio ha gettato le ancore nel porto di Cagliari la flotta della Fugro, per uno scalo tecnico e per presentare i primi dati dei lavori di ricognizione del fondo marino, iniziati nell’ottobre 2007 e che si concluderanno nell’agosto di quest’anno.Ecco i dati più significativi: cinquecento tra geologi, ingegneri, tecnici, geofisici ed esperti in elaborazione dati; sei navi, un piccolo sommergibile, una piattaforma autosollevante; nove mesi di lavoro, quasi interamente in mare aperto; una montagna di dati raccolti dal sottomarino Hugin 3000 Auv (Autonomous underwater vehicle) in grado di effettuare indagini sismiche e magnetiche sul fondale a quasi tremila metri di profondità.
Il percorso del gasdotto Algeria-Sardegna-Italia (830 chilometri, di cui 530 offshore) «L’Auv rappresenta – ha spiegato Giancarlo Cristofaro, project manager responsabile Fugro – il meglio della tecnologia disponibile in questo momento. Ha sessanta ore di autonomia ed è in grado di coprire fino a cento chilometri al giorno, studiando il fondale nei minimi particolari. Con l’appoggio degli altri mezzi a disposizione, che si occupano di prelevare campioni di sedimenti e testarli a bordo, siamo in grado di ottenere una perfetta immagine del fondo. E non è un risultato da poco, se si considera che il gasdotto poggerà su un fondale superiore ai duemila metri per circa il 20 per cento del suo percorso».
La motonave Geo Prospector della flotta Fugro, attrezzata per la ricognizione del fondo marino, con l'ausilio del sottomarino autonomo Hugin 3000 La motonave Geo Prospector, della flotta Fugro,
attrezzata per la ricognizione del fondo marino, 
con l'ausilio del sottomarino autonomo Hugin 3000I dati immagazzinati dal sottomarino sono stati rielaborati direttamente a bordo della nave Geo Prospector e valutati insieme ai tecnici di Galsi, il consorzio che sta portando avanti il progetto per la realizzazione del metanodotto. Tutte le informazioni fornite dalla Fugro serviranno per definire il tracciato migliore, capire dove fissare il cavo al terreno, dove sistemare le curvature e come programmare le stazioni di pompaggio.
«Il ruolino di marcia procede secondo i tempi prestabiliti – ha affermato Gian Maria Iacobone, responsabile Galsi – e contiamo di concludere questa fase di raccolta ed elaborazione dati entro agosto. Poi studieremo il percorso ottimale e quindi poseremo i primi tubi nel secondo semestre del 2009. Nel mentre, è stata presentata la richiesta di inserimento di Galsi nella rete nazionale dei gasdotti e sono in fase di completamento gli studi di impatto ambientale».
Serviranno anche le autorizzazioni per i circa trecento chilometri che il gasdotto percorrerà sulla terraferma sarda, secondo un percorso ancora allo studio, soprattutto per quanto riguarda gli approdi. «La scelta di Porto Botte per il sud – ha precisato il rappresentante Galsi – dovrà essere confermata da una serie di approfondimenti e valutazioni, che stiamo compiendo. Per quanto riguarda il nord, stiamo valutando due sedi, una vicino a Olbia e una nei pressi di Golfo Aranci».
Solo quando si avranno in mano tutte le autorizzazioni (si ipotizza a metà del 2009), si prenderà la decisione finale sulla realizzazione dell’opera. Se tutto procede come previsto, l’arrivo del gas avverrà nel 2012.
«Sicuramente Galsi migliorerà la sicurezza di approvvigionamento del gas – ha sottolineato Iacobone – garantendo il transito di otto miliardi di metri cubi all’anno. Permetterà poi la metanizzazione della Sardegna, creando nuove opportunità di sviluppo industriale, per non parlare poi degli indubbi vantaggi per tutto l’indotto durante la fase dei lavori di costruzione». I rappresentanti Galsi hanno inoltre prospettato la possibilità che la Regione Sardegna, attraverso la creazione di una società mista con Sonatrach, utilizzi sull’isola due miliardi di metri cubi, per soddisfare il bisogno interno di circa un miliardo e mezzo e per commercializzare a terzi l’eccedenza.
Un’ipotesi che potrebbe essere favorita dall’accresciuta presenza, nel consorzio Galsi, della partecipazione sarda, a seguito dell’uscita dell’azionista Wintershall Holding Ag, detentrice della quota del 13,5 per cento. Ciascun socio di Galsi, esercitando il diritto di prelazione, ha acquistato pro-quota una parte del pacchetto azionario di Wintershall. La finanziaria sarda Sfirs ha così acquisito 481.287 azioni ordinarie, pari al 1,6 per cento del capitale.
A seguito di questa operazione, il nuovo assetto azionario di Galsi risulta il seguente: Sonatrach, 41,6%; Edison, 20,8%; Enel, 15,6%; Sfirs, 11,6%; Hera Trading, 10,4%.

Il rigassificatore - Un’ultima considerazione, perché parlare di metano non significa limitarsi al gas algerino. La ricetta per ridurre il prezzo del metano e la bolletta energetica dell’Italia passa anche attraverso la ricerca di una pluralità di fonti di approvvigionamento. Non si può prescindere, dicono gli esperti, dai rigassificatori, i terminali costieri dove trasformare il metano liquido trasportato via mare in gas, da vendere poi a centrali elettriche, famiglie e imprese. E un rigassificatore potrebbe nascere anche in Sardegna, dove il comune di Porto Torres si è già offerto per ospitarlo.
«Abbiamo ricevuto almeno due proposte per la realizzazione di un rigassificatore in Sardegna, presentate da società che fanno parte del consorzio Galsi», ha confermato ad Alghero l’assessore regionale dell’Industria, Concetta Rau, a margine del vertice tra Italia e Algeria svoltosi il 14 novembre. «Peraltro – ha osservato la Rau – il rigassificatore è anche previsto nel Piano energetico regionale».
La realizzazione di un rigassificatore era stata auspicata tempo fa anche da Endesa, la società spagnola proprietaria dello stabilimento di Fiume Santo. La proposta di trasformare due gruppi della centrale per utilizzare il metano che arriverà dall’Algeria, infatti, aveva destato qualche perplessità tra i manager del colosso energetico spagnolo.
Per quale motivo? Perché se il gas arriva da un unico canale il prezzo è stabilito alla fonte, per cui produrre energia da metano potrebbe risultare troppo costoso e poco remunerativo. Da qui l’ipotesi del rigassificatore, che invece permette di comprare il gas nelle aree del pianeta dove il prezzo è più basso. In quel caso, infatti, il metano arriverebbe oltre che dal gasdotto, anche via mare, trasportato dalle navi metaniere, per cui si può scegliere dove acquistare, con buone prospettive di risparmio. 

Energie rinnovabili

L’accordo siglato diversi mesi fa tra Regione ed Enel è finito a Bruxelles, sul tavolo della commissaria per la Concorrenza, Neelie Kroes. Gli uffici dell’Unione europea hanno aperto un fascicolo per verificare se l’intesa da 550 gigawattora vìoli o meno le regole del libero mercato. A portare la giunta Soru davanti all’Ue, è stata l’Italian wind power (Iwp), società a responsabilità limitata controllata dal gruppo tedesco Eab technology, che opera nel settore delle energie rinnovabili.
Secondo la Iwp, il colosso italiano dell’energia fornirà corrente a basso costo alle industrie del Sulcis attraverso aiuti di Stato. «Sono vietati dal trattato Ue – ha scritto nel ricorso l’amministratore delegato Carlo Luigi Revoldini – e inoltre la Regione ha consolidato nell’isola il monopolio dell’Enel, che dopo l’acquisizione di Endesa (insieme alla spagnola Acciona) non ha più concorrenti». Per la Iwp gli aiuti di Stato si configurano attraverso la vendita, dall’Enel alla Regione, degli impianti idroelettrici di Busachi, peraltro secondo modalità vessatorie, visto che la Sardegna si deve accollare il costo per le emissioni di CO2.
Contestati anche i 40 euro per ogni megawattora: «Spetta al mercato, non a un ente pubblico, fissare i prezzi». Ci sono poi i 5 milioni di “una tantum” che la Giunta pagherà per la manutenzione dei tralicci elettrici: «Altro mistero – continua Revoldini – perché la competenza sulla rete di distribuzione spetta al gestore unico, ovvero a Terna, non all’Enel».
L’accordo del 5 luglio scorso si lega a doppio filo anche alle energie rinnovabili. La Regione ha affidato all’Enel il totale controllo dell’eolico: quasi 200 megawatt, previsti nel Piano energetico regionale. «Da una parte la Giunta blocca gli investimenti per ragioni ambientali, dall’altra lascia campo libero a un solo gestore», sono le conclusioni di Revoldini. 

Eolico

Lo stop all’eolico è scattato nel 2004: prima col decreto salva coste, poi con la legge 8, infine attraverso il Piano paesaggistico. Una decisione, quella di limitare l’eolico, contestata fortemente da Greenpeace. Il responsabile della campagna “Clima ed energia” dell’associazione, Francesco Tedesco, si è incontrato con presidente Soru alla fine di novembre, in un faccia a faccia durissimo e carico di polemiche.
«Il Piano energetico adottato dalla giunta Soru, con il blocco sostanziale dell’eolico e il rilancio del carbone – ha dichiarato Tedesco – si presenta come un progetto killer. Ci troviamo davanti a un programma che non solo si pone in netta contraddizione con gli obiettivi dell’Unione europea e di Kyoto, ma oltretutto non tiene conto dei cambiamenti climatici che, come avvertono gli scienziati, presto potrebbero portare il fenomeno della desertificazione anche in buona parte della Sardegna».
Greenpeace sottolinea che, attualmente, la maggior parte dei parchi eolici isolani rimane bloccata e che alcuni di essi sono stati “liberati” solo grazie all’intervento del Tar; evidenzia anche che l’isola produce col sistema eolico solo 350 megawatt di energia. «Nel 2012 – ha sottolineato ancora Tedesco – potrebbe produrne almeno 3 mila, che permetterebbero di soddisfare il 50% del fabbisogno e le centrali occuperebbero solo il 3% del territorio. Peraltro, ci sarebbero risvolti positivi anche per l’occupazione. Abbiamo calcolato che per ogni megawatt installato si creano due posti di lavoro, senza contare l’indotto». Greenpeace ha ricordato anche che il 90% dei sardi non è contraria all’eolico e che il 60% lo considera un’opportunità positiva.
Inaugurazione dell'impianto eolico di Sedini. In primo piano l'amministratore delegato dell'Enel Fulvio Conti (a sinistra) e il presidente del Consiglio regionale Giacomo Spissu al centro) Inaugurazione dell'impianto
eolico di Sedini (Sassari). In
primo piano l'amministratore
delegato di Enel spa, Fulvio
Conti (a sin.) e il presidente
del Consiglio regionale
Giacomo Spissu (al centro)Il presidente della Giunta, Renato Soru, ha respinto al mittente tutte le accuse, sostenendo che «noi vogliamo fare più di quanto stabilito dagli accordi di Kyoto, perché il nostro obiettivo è superare il 20% di rinnovabili entro il 2020. Non abbiamo sospeso l’eolico – ha detto – ma l’abbiamo regolato, per evitare speculazioni private in un business fin troppo facile». La Sardegna, ha aggiunto il Presidente, è molto interessata alle energie rinnovabili, soprattutto il solare e l’eolico, e sta promuovendo una ricerca a largo raggio, più di altre Regioni.
In tema di eolico, sparse qua e là nel territorio isolano emergono novità interessanti. Il Comune di Nulvi, per esempio, ha abolito quasi del tutto l’Ici grazie ai cospicui guadagni che sta ricavando per gli impianti ubicati alla periferia del paese da Friel e Ivpc, dopo un ricorso al Tar contro il blocco imposto dalla Regione. Ma questa non è l’unica iniziativa legata a quanto incassato dalle due imprese che gestiscono la struttura. «Quando saremo a regime – afferma il sindaco, Roberto Luciano –, contiamo di ricavare ogni anno 300 mila euro, e già oggi riusciamo a finanziare una serie di servizi socio-assistenziali nei confronti soprattutto delle persone meno abbienti».
Anche nel Medio Campidano sta nascendo un grande parco eolico. Nell’area fra Guspini e Pabillonis, sempre la Friel (Friuli elettronica) ha già installato diversi aerogeneratori e altri stanno andando ad aggiungersi. Una cinquantina dovrebbero sorgere in territorio di San Gavino, vicino alla statale per Guspini: il consiglio comunale ha appena approvato il progetto presentato dalla società tedesca Arteco Bau e dalla Windwarts Energie Rinnovabili di Quartu Sant’Elena.
Numerose le richieste anche per l’installazione di un parco eolico nella zona industriale di Uta. Dopo l’iniziale esperimento che ha visto negli anni scorsi la sistemazione di sei pale per sfruttare l’energia del vento, nel Municipio di piazza S’Olivariu è un continuo bussare per offrire la sistemazione di nuovi impianti, per produrre energia elettrica e con la promessa di ricchezza per il Comune.
A Portoscuso sta andando avanti a grandi passi il progetto del primo parco eolico del Sulcis Iglesiente. La società Portoscuso Energia ha richiesto l’attivazione della procedura di Valutazione di impatto ambientale, dopo aver ottenuto il via libera dal Comune. Tocca adesso alla Regione, che ha già ricevuto gli elaborati, esprimersi sulla fattibilità del parco, che dovrebbe sorgere lungo l’asse esterno del polo industriale di Portovesme. La Portoscuso Energia vorrebbe installare 40 pale a vento, in grado di produrre circa 80 megawatt di energia, da immettere direttamente nella rete a media tensione, con notevole risparmio nelle emissioni di anidride carbonica e biossido di zolfo.
Il progetto riscuote molti favori. Il sindaco di Portoscuso, Adriano Puddu, ritiene che «oltre alla produzione di energia da fonti rinnovabili, vadano considerati positivamente sia l’utilizzo di terreni altrimenti inutilizzabili, perché troppo vicini alle industrie, sia gli aspetti occupazionali». Infatti, nell’impianto a regime dovrebbe trovare lavoro una decina di persone, tutte di Portoscuso, così come da impegno scritto voluto dall’amministrazione comunale.
Benché il progetto di Portoscuso Energia sia quello allo stadio più avanzato, non è l’unico depositato in Comune: di recente anche Enel e Ics Sardegna hanno presentato degli studi per la costruzione di parchi eolici nell’area di Portovesme.
Peraltro, come risulta dall’accordo Enel-Regione, l’azienda elettrica ha già “barattato” la sistemazione di alcune decine di pale nell’area industriale, in cambio di una riduzione del prezzo del chilowattora alla Portovesme srl.
Se dalla Sardegna con l’eolico al contagocce rivolgiamo lo sguardo alla vicina Spagna, c’è da restare interdetti. L’ondata di maltempo della prima settimana di marzo ha fatto esultare la rete elettrica spagnola (REE), che con i suoi parchi eolici in Galizia, Andalusia e nella valle dell’Ebro ha registrato un picco di 204 mila megawatt all’ora in un solo giorno. A conti fatti, per la prima volta la produzione eolica ha contribuito per oltre il 25 % alla fornitura di energia elettrica.  

Fotovoltaico

Raggiungere entro il 2009, con un anno di anticipo rispetto alle indicazioni del Piano energetico nazionale, i 100 megawatt di energia prodotta dal sole. La spesa per il triennio ammonta a 30 milioni di euro.
Queste le indicazioni fornite dall’assessore regionale dell’Ambiente, Cicito Morittu, nel corso della presentazione dello “stato dell’arte” sul fotovoltaico nell’isola, avvenuta a Cagliari a inizio d’anno.
Tabelle alla mano, il traguardo sembra raggiungibile. Ai sessanta megawatt attivabili con interventi pubblici, si potrebbero infatti aggiungere i 65-70 che dovrebbero arrivare dai privati, che hanno avuto accesso al bando da 18 milioni di euro per tre anni dell’assessorato dell’Industria. «Potremmo sfondare quota centotrenta – ha sottolineato Morittu – che corrisponderebbero a circa 200 mila tonnellate di CO2 in meno emesse nell’aria. Come se si impiantassero 7 mila ettari di nuove foreste all’anno».
Per quanto riguarda gli edifici pubblici, con la Finanziaria 2007 erano stati stanziati 10 milioni annui per il triennio 2007-2009 per finanziare la realizzazione di impianti fotovoltaici o termici (acqua calda dal sole). Di questi, 6,7 milioni erano stati destinati agli enti pubblici, mentre 3,3 ad edifici della Regione. Dal 2008, ha dichiarato l’Assessore, la ripartizione favorirà maggiormente la fetta riservata agli enti pubblici, in modo da soddisfare tutte le richieste pervenute.
E la risposta di Comuni e Province non si è fatta attendere: 529 progetti (presentati da 189 Comuni e 5 Province), con 509 ammessi a finanziamento regionale (20 % dell’importo speso) e 345 finanziati. «Ulteriori 617 verranno finanziati con le risorse della Finanziaria 2008 – ha spiegato l’assessore dell’Ambiente. Gli impianti proposti potranno sviluppare una potenza complessiva di 7,72 megawatt, con cui si riuscirà a coprire il fabbisogno energetico dichiarato negli edifici interessati».
Anche la Regione realizzerà un impianto fotovoltaico di grandi dimensioni (462 Kw) sul tetto dell’edificio ex Cisapi a Mulinu Becciu, destinato a ospitare il Corpo forestale. Un progetto notevole, che assorbirà gli oltre tre milioni di finanziamento previsti per il 2007. 

Solare termodinamico

Il sistema più moderno per ricavare energia dal sole è quello utilizzato nelle centrali “a concentrazione”. Si tratta della versione termodinamica dell’energia solare, da non confondere con quella fotovoltaica, che invece sfrutta l’emissione di corrente elettrica direttamente dai semiconduttori illuminati. «In Spagna e in alcune zone degli Usa – spiega Andrea Mameli, del Crs4, il Centro di ricerca operante alle porte di Cagliari – la centrale solare termodinamica è divenuta sinonimo di affidabilità e di alto rendimento. In un bilancio non solo economico, ma che tenga anche conto dell’impatto su ambiente e salute, lo sfruttamento del calore del sole, fonte rinnovabile per eccellenza, si rivela assolutamente competitivo».
Il costo del solare termodinamico a kilowattora si aggira oggi intorno ai 10 centesimi, ma secondo gli studi di settore scenderà a 6 entro il 2020. Altro vantaggio importante risiede nella capacità di accumulo, garantita dal liquido caldo.
Riproduzione digitale del dimostratore solare termodinamico a concentrazione, da realizzare nell'area industriale di Cagliari Riproduzione digitale del dimostratore solare
termodinamico a concentrazione, da realizzare
nell'area industriale di CagliariIn Italia sono sorti alcuni prototipi sperimentali, ma la notizia importante (di cui ci siamo diffusamente occupati nel precedente numero di Sardegna industriale) è che, tra alcuni mesi, anche la Sardegna potrà disporre di un “dimostratore”, finanziato al 50% dal ministero dell’Università e della Ricerca. «L’impianto – spiega Bruno D’Aguanno, capo dipartimento Energia del Crs4 – ci consentirà di dimostrare la fattibilità della produzione, efficiente, pulita e competitiva, di energia elettrica a partire dalla fonte energetica solare. Sarà costituito da due serie di collettori a concentrazione parabolica lineare e, attraverso la gestione termodinamica ad alta temperatura (550° C), l’energia solare potrà esser raccolta e convogliata verso impianti che ne consentiranno la trasformazione in energia elettrica». Il “dimostratore” sarà realizzato a Macchiareddu, grazie alla collaborazione tra Crs4 e Università di Cagliari, Rtm spa, Sapio spa e Sardegna Ricerche. 

Biomasse,  biocarburanti e biogas

Dovrebbe sorgere nella zona industriale di Ottana la prima centrale sarda per produrre energia da biomasse. Il progetto pilota prevede la realizzazione di due gruppi da 34 Mw di potenza, da alimentare con coltivazioni arboree (colza e carinata) situate nei pressi della centrale. I due gruppi sono in fase di costruzione e saranno inizialmente alimentati con olio di palma, importato principalmente dall’Indonesia.
L’annuncio è stato dato a metà dicembre, nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella sede di Confindustria, da Paolo Clivati, di Ottana Energia, che ha presentato il progetto per la produzione di energia “nuova” ed eco-compatibile. «La centrale – ha detto – avrà bisogno di 60 mila tonnellate all’anno di olio vegetale, che in parte dovranno pervenire da colture locali. In quest’ottica abbiamo promosso, in collaborazione con la facoltà di Agraria dell’Università di Sassari, il Cnr e l’Agris, un progetto per la realizzazione e lo sviluppo di una filiera locale per la produzione di olio vegetale, a partire da colture oleaginose».
Cumuli di biomasse nella centrale termoelettrica dell'Enel, a Portovesme Cumuli di biomasse nella centrale termoelettrica
dell'Enel, a PortovesmePotenzialmente, sono una cinquantina i comuni, nell’area di circa 70 km da Ottana, interessati alla coltivazione. L’ipotesi della sperimentazione prevede il coinvolgimento di alcuni agricoltori che, per tre anni, metteranno a disposizione diversi ettari di terreno. In questo lasso di tempo sarà verificata l’adattabilità al terreno sardo delle specie arboree individuate. Da ricordare che, grazie ai “certificati verdi”, l’energia prodotta da fonti come l’olio vegetale è economicamente incentivata per 15 anni.
A spargere dubbi sulla concreta percorribilità di questa strada in Sardegna ci hanno pensato il Gruppo di intervento giuridico e gli Amici della terra. «Una riconversione della centrale elettrica di Ottana all’olio di colza – si legge in una nota congiunta di fine dicembre – sarebbe pressoché irrealizzabile. Infatti, bisognerebbe coltivare circa 150 mila ettari di colza per poter avere una produzione annua finalizzata alle 50 mila tonnellate di olio necessarie per far funzionare la centrale per almeno settemila ore all’anno». Gli ambientalisti respingono anche l’utilizzo dell’olio di palma, perché «contribuirebbe alla progressiva deforestazione del sud-est asiatico».
Da segnalare anche i dubbi avanzati dalla Coldiretti di Oristano, secondo la quale mancherebbero certezze sulla convenienza economica delle nuove coltivazioni. «I numeri in nostro possesso – ha dichiarato il presidente provinciale, Franco Cocco – indicano che le bioenergie non sarebbero un investimento redditizio per l’agricoltore».
Sempre in tema di coltivazioni, si parla sempre più, soprattutto a livello europeo, dei cosiddetti biocarburanti (biofuel). Il carburante biologico può aiutare l’Europa a risolvere non solo i problemi di approvvigionamento energetico, riducendo drasticamente la sua dipendenza dal petrolio, ma può anche mitigare l’inquinamento da idrocarburi. Il lato negativo della questione, che ancora divide scienziati ed esperti, è che la produzione dei carburanti biofuel richiede il dispendio di molta energia e provoca il rilascio di grandi quantitativi di CO2.
I biofuel attualmente più utilizzati sono il biodiesel e il bioetanolo, ricavati dalle piante e utilizzati principalmente nei mezzi di trasporto, allo stato puro o con l’aggiunta di carburanti standard come additivi.
Il biofuel cosiddetto di prima generazione deriva principalmente da piante come il mais, la soia, i semi di rapa, la canna da zucchero, la palma, tutti alimenti commestibili. Quello di seconda generazione, più legato agli sviluppi del progresso tecnologico, può invece essere ricavato dai rifiuti.
E per parlare di rifiuti, o meglio del biogas da questi ricavato, torniamo in Sardegna. Dove i rifiuti conferiti da oltre sessanta comuni nella discarica di Villacidro non costituiscono solo una montagna sgradevole alla vista e all’olfatto, ma rappresentano anche una ricchezza col loro “biogas” trasformabile in energia elettrica. Tradotto in soldoni, significa un risparmio considerevole sulla bolletta del Consorzio industriale, che sta già pensando ad un ampliamento dell’impianto.
Un impianto semplice, stando almeno alla spiegazione del presidente, Luigi Murgia. «Tra i rifiuti agiscono alcuni batteri, come quelli che abbiamo nell’intestino, che “digeriscono” le parti organiche. In questo modo, viene trasformata in biogas e compost gran parte delle sostanze biodegradabili. Il biogas viene captato da alcuni tubi e utilizzato per la produzione di energia elettrica, con la quale in Consorzio copre parte del proprio fabbisogno».
L’intero ciclo di produzione, che garantisce trentasei busta paga, avviene all’interno del primo modulo della discarica, ormai chiuso. In Italia esiste solo un altro impianto come quello di Villacidro, e si trova nel Veneto.
Da segnalare che anche il comune di Carbonia sta pensando ad un impianto per l’utilizzo del biogas prodotto nella discarica di Sa Terredda.